Sostenibilità Ambientale

Le sfide del sistema produttivo

Il previsto aumento della popolazione, il processo di urbanizzazione, la diminuzione delle risorse disponibili e l’accrescimento della classe media, il cui potere d’acquisto determinerà un significativo incremento della domanda di prodotti di origine animale a livello mondiale (+70% previsto per il 2050), rappresentano le sfide del millennio per il settore agro-zootecnico che deve produrre di più, impiegando meno risorse.
La sfida è ancor più difficile se si considerano le difficoltà legate ad una limitata disponibilità delle risorse ambientali e l’aumento della domanda di terre a livello globale per utilizzi diversi da quello primario alimentare (energetico, edilizio, ecc..), fattori che pongono una forte pressione sulla produzione agricola destinata al consumo umano, rendendo indispensabile l’aumento dell’efficienza produttiva. In questo contesto, l’alimentazione animale può giocare un ruolo determinante per risolvere positivamente la sfida del millennio.

La sostenibilità delle produzioni zootecniche

Il mangime rappresenta un elemento fondamentale nel percorso verso un miglioramento della sostenibilità delle produzioni zootecniche; infatti, nella maggior parte dei sistemi di allevamento, il mangime contribuisce in maniera significativa alla riduzione dell’impronta ambientale del prodotto di origine animale. L’industria mangimistica riveste pertanto un ruolo determinante nel trovare soluzioni per ottimizzare la produttività degli allevamenti e, così, contribuire alla riduzione dell’impatto ambientale.
ASSALZOO sostiene la visione di una sostenibilità completa (sociale, economica ed ambientale), riferita ad un’industria mangimistica vitale e competitiva, che utilizza in modo efficiente le risorse e che si comporti in modo responsabile al fine di fornire non soltanto il mangime ma il know-how necessario per il suo inserimento in un sistema agro-zootecnico ad elevata sostenibilità ambientale.

Efficienza produttiva

Il settore mangimistico, grazie agli sviluppi della scienza della nutrizione ed alimentazione animale, ha contribuito notevolmente al miglioramento degli indici di conversione (kg di alimento/kg di latte, carne, uova) e quindi all’efficienza produttiva, alla sostenibilità ed alla competitività del comparto zootecnico.
A titolo esemplificativo dell’impegno del comparto zootecnico italiano, si calcola che nel 1950 erano prodotti 7 kg di CO2eq per kg di mangime consumato, valore ridotto attualmente ad 1 kg. Per il solo allevamento bovino da latte, i dati nazionali dimostrano che la produzione complessiva italiana è aumentata, nello stesso periodo, del 90% e le emissioni globali si sono ridotte del 50%.

L’impronta ambientale

La valutazione dell’impatto ambientale di un prodotto può essere effettuata utilizzando diverse metodologie. Sino ad oggi non esisteva una metodologia univoca in grado di misurare, contemporaneamente e con egual rigore, tutti gli aspetti e soprattutto di pesarli tra loro in una valutazione complessiva. La Commissione europea con il progetto PEFCR (Product Environment Footprint Criteria Rules) sta ponendo le basi per una metodologia condivisa.

Life Cycle Assessment (LCA)

Metodologia che permette di valutare i carichi ambientali associati ad un prodotto, processo o attività, identificando e quantificando i consumi di materia ed energia e le emissioni nell’ambiente relative all’intero ciclo vitale di un prodotto (o di un servizio). Il motto del LCA è “dalla culla alla tomba”, cioè dall’inizio del ciclo di un prodotto fino al suo completo smaltimento e consumo.

Ecological footprint – Impronta ecologica

L’impronta ecologica originariamente misurava, in metri quadrati, la quantità di terra necessaria a riciclare i materiali di scarto prodotti da una persona nel corso di un anno. Attualmente misura l’impatto sulle risorse ambientali per unità di prodotto ottenuto. Oltre alla carbon ed alla water, le altre due principali impronte ecologiche sono la biodiversità e la soil footprint: la prima misura la riduzione della biodiversità e la seconda la perdita di suolo collegate al ciclo produttivo di un determinato bene o servizio.

Carbon footprint – Impronta di carbonio

L’impatto in termini di emissioni di gas clima alteranti (greenhouse gases, GHG) di un certo prodotto ne definisce la Carbon footprint, espresso come CO2 equivalenti sull’unità di prodotto (i diversi gas ad effetto serra prodotti vengono tutti trasformati in CO2, in modo da essere paragonabili).

Water footprint – Impronta idrica

L’impatto in termini di consumo di acqua fresca (green water se deriva dalle precipitazioni, blue water se deriva da invasi o corpi idrici naturali) e di inquinamento delle acque effluenti dal ciclo produttivo (grey water) per unità di prodotto. Questo metodo è stato pesantemente contestato in quanto l’inclusione della green water (lacqua di pioggia o delle precipitazioni occulte) aumenta in modo spropositato la water footprint dei sistemi zootecnici.

Impronta ambientale di prodotto (PEFCR)

PEFCR nasce dall’iniziativa della Commissione europea di definire criteri condivisi per la valutazione dell’impronta ambientale di prodotto. Grazie a tale progetto, la Commissione ha sviluppato una metodologia orizzontale applicabile a diversi settori produttivi, chiamata PEF (Product Environmental Footprint), ossia Impronta Ambientale di Prodotto, per misurare e comunicare in modo uniforme ed armonizzato le performance ambientali del ciclo di vita dei prodotti.

Il Feed PEF è uno degli 11 progetti pilota con i quali la Commissione intende sviluppare le regole specifiche per i singoli settori. Sulla base degli studi e dei dati LCA disponibili, è stato messo in evidenza che la fabbricazione di mangimi (a partire dalla produzione di materie prime) contribuisce in modo significativo all’impronta ambientale dei prodotti di origine animale; pertanto è fondamentale una valutazione uniforme ed accurata dell’impatto dei mangimi per definire, successivamente, il PEF dei prodotti di origine animale quali carne, uova, prodotti lattiero-caseari e pesce. Tali PEF potranno così utilizzare il medesimo approccio nel calcolare l’impatto ambientale dell’alimentazione degli animali.

Il progetto pilota Feed PEF è stato coordinato da un segretariato tecnico composto da diverse Federazioni europee ed Associazioni nazionali, tra cui ASSALZOO, ed alcune aziende della filiera mangimistica.

Economia circolare

Sempre più spesso si sente parlare di “Economia circolare”, ma da dove nasce questo termine e questo nuovo approccio? La Commissione europea ha pubblicato una proposta legislativa con la quale vuole stimolare lo sviluppo di una Europa che utilizzi in modo più efficiente le risorse.

L’industria mangimistica da sempre gioca un ruolo fondamentale in termini di sostenibilità nel riuscire a valorizzare sottoprodotti, co-prodotti de diversi processi produttivi.

Valorizzare le risorse, da sempre nel DNA del mangimista

Nella maggior parte dei processi di produzione, sia del settore alimentare che di altri, si ottiene più di un prodotto. Generalmente, la trasformazione delle materie prime porta ad un prodotto principale e ad uno o più co-prodotti che possono avere un valore nutrizionale.
Le trebbie derivate dal processo di maltizzazione nella produzione della birra, le polpe di barbabietola nella produzione dello zucchero, la farina di colza derivata dal processo di estrazione dell’olio o il glutine di mais ed i distillati quali principali co-prodotti dell’utilizzo dei cereali nella produzione di bioetanolo ne sono solo alcuni esempi.
Grazie alla conoscenza ed alle tecnologie disponibili molti co-prodotti dei processi dell’industria alimentare, non aventi interesse in alimentazione umana per mancanza di convenienza economica o di mercato, possono essere valorizzati utilizzandoli come materie prime per mangimi.
Ogni anno l’industria mangimistica impiega a livello europeo oltre 90 milioni di tonnellate di co-prodotti del settore alimentare. L’industria mangimistica offre quindi all’industria di trasformazione alimentare possibilità di gestire i propri co-prodotti in modo economicamente ed ambientalmente sostenibile.
Sebbene in Italia non avvenga la produzione di bioetanolo, può essere interessante evidenziare che, visto l’utilizzo dell’industria mangimistica di distillati di cereali (DDGs) e di farina di colza, l’industria delle bioenergie può essere un sistema economicamente sostenibile.

L’industria mangimistica è in grado, grazie alle proprie competenze, di giocare un ruolo chiave nell’utilizzare in modo corretto i co-prodotti provenienti dagli operatori del settore alimentare. In questi sistemi produttivi, oltre alla possibilità di avere co-prodotti non destinati alla vendita, può accadere che alcuni alimenti prodotti per essere venduti per consumo umano non siano più utilizzabili per il consumo diretto e pertanto vengano utilizzati dall’industria mangimistica.
A livello europeo oltre 3 milioni di tonnellate di ex-prodotti alimentari, quali ad esempio rotture di biscotti, patatine non aromatizzate, pane fresco invenduto, cioccolatini non aventi la forma desiderata, sono valorizzati dal sistema mangimistico.
Gli ex-prodotti alimentari con elevato contenuto energetico, come zucchero, olio o amido, sono trasformati da aziende specializzate in grado di fornire all’industria mangimistica, propriamente detta, una materia prima alternativa ad elevato valore energetico e con un profilo nutrizionale simile a quello dei cereali.
Dato il loro elevato valore nutrizionale, è fondamentale che gli ex-prodotti alimentari non siano mai considerati rifiuti, e che tali prodotti non escano dalla filiera alimentare in modo da poterne garantire la tracciabilità ai fini della sicurezza alimentare.
Gli operatori specializzati svolgono un ruolo fondamentale nello standardizzare queste risorse, raccogliendo le diverse tipologie di prodotti alimentari non più idonei al consumo umano, gestendo direttamente le problematiche ricollegabili ad una scarsa o, più spesso, discontinua disponibilità di materia prima e ad un profilo nutrizionale variabile.
L’industria mangimistica, valorizzando prodotti e co-prodotti di altri settori, in primis del settore agroalimentare, contribuisce significativamente all’obiettivo della Commissione europea di ridurre lo spreco alimentare e la produzione di rifiuti. Valutando la cosiddetta “gerarchia dei rifiuti” (una piramide sviluppata dall’Università olandese di Wageningen che evidenzia, prima di classificare un prodotto come rifiuto, le diverse possibilità di utilizzo gerarchicamente diverse per ridurre al minimo la produzione di un rifiuto propriamente detto), l’utilizzo dei co-prodotti dell’industria alimentare come materie prime per mangimi rappresenta l’utilizzo più nobile per gli alimenti non più destinati al consumo umano.
Grazie alla valorizzazione di un’ampia varietà di co-prodotti di origine agricola, l’industria mangimistica concorre a rendere il sistema produttivo più sostenibile utilizzandone ogni anno grandi quantità nella produzione dei mangimi.

L’industria mangimistica è ora impegnata a valorizzare gli ex-prodotti alimentari, aventi tutte le caratteristiche igienico-sanitarie per consumo umano ma che non possono entrare nel pertinente canale distributivo o sono da questo ritirati per motivi legati ad aspetti puramente merceologici (colore, forma, confezione) o alla filiera di distribuzione perchè non più adatti alla vendita e quindi introdurli nella filiera mangimistica.
Un utilizzo riconosciuto legalmente che permette di ridurre gli sprechi che si creano lungo la filiera nel pieno rispetto del concetto di Economia circolare.